La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



sabato 29 dicembre 2012

John Steinbeck: Furore

Il chiosco centenario (era li dal 1911) che, aggrappato ad una delle colonne del porticato di piazza Carlo Felice a Torino, vendeva libri usati a lettori dalle modeste risorse, ha ormai chiuso definitivamente i suoi battenti in legno. Gli eredi del fondatore, Giovanni Battista Frogola hanno, da tempo, aperto una libreria lì vicino, sotto i portici della stessa piazza e l'ultimo gestore della bancarella è stato sfrattato dal comune, in nome di una strana modernità che sembra mal sopportare queste reliquie del passato.
Fu lì che comprai per 5000 lire, (il prezzo di copertina era di L.25) un libro della collezione Letteratura edito da Valentino Bompiani: Furore di John Steinbeck.
L'edizione (la settima) è del 1941, XX dell'era fascista come lo precisa il frontespizio. E sorprende un po' scoprire che in quel tempo, dopo vent'anni di dittatura, mentre il paese era in guerra e già erano evidenti i segni della catastrofe, qualcuno pensasse alla pubblicazione del romanzo di uno scrittore come Steinbeck; singolare soprattutto che il MinCulPop, il ministero della cultura popolare incaricato di controllare ogni pubblicazione, non avesse trovato nulla da ridire.
Nel 1940 il regime aveva bloccato l'edizione di Americana, l'antologia curata da Elio Vittorini e alla quale avevano collaborato anche Pavese e Montale e ne aveva permesso la diffusione solo dopo aver imposto una prefazione molto critica nella quale Emilio Cecchi definiva gli Stati Uniti come un paese che, traviato da un falso ideale di benessere, brancola cercando la propria unicità etnica ed etica.
Per Vittorini invece, la letteratura americana esprimeva libertà ed energia, qualità sconosciute in un'Italia chiusa e ridotta ad un'autarchia anche culturale.
Il romanzo di Steinbeck aveva sicuramente questi attributi. Era uscito negli Stati Uniti nel 1939, solo un anno prima quindi, e nel '40 aveva vinto il premio Pulitzer e John Ford ne ne aveva tratto un film.
Furore racconta la storia dei contadini della scodella di polvere, la Dust Bowl, quella regione al centro degli Stati Uniti che nel 1930 fu colpita da una terribile siccità. È la storia degli Okies costretti ad emigrare verso la California scacciati dalla miseria e dalla fame. 
Il titolo originale The Grapes Of Wrath ( I grappoli dell'ira) è tratto da una poesia della scrittrice newyorchese Julia Ward Howe ma, risalendo più lontano, evoca un passo dell'Apocalisse di San Giovanni.
La citazione dell'Apocalisse non è solo aneddotica. Fin dalle prime pagine Furore ci trascina con un soffio biblico: una piaga divina si abbatte sull'Oklahoma. Un sole di piombo brucia la terra, rare nuvole appaiono e poi scompaiono lasciando non pioggia ma solo polvere e desolazione.
Una notte il vento impazzò, zappò furiosamente la terra attorno alle radici del granoturco, e il granoturco si mise a lottare per difesa contro il vento agitando le sue foglie indebolite, ma nella lotta le radici risultarono denudate delle zolle di terra protettrice ed ogni pianta risultò inclinata nella direzione del vento.
L'alba venne, ma non il giorno. Nel cielo grigio apparve un sole rosso, un fioco cerchio rosso che emanava una scialba luce crepuscolare, e col progredire delle ore il crepuscolo ripiombò nella tenebra e il vento fischiò ed urlò sul granturco abbattuto.*
Impossibile resistere al cataclisma. Di fronte ad esso gli uomini, le donne e i bambini, diventano creature umane, esseri umani; l'umano non è che aggettivo, sono esseri viventi, vittime della catastrofe naturale al pari degli altri animali e delle piante.
Ma se gli abitanti di queste terre sono costretti a partire non è solo a causa della siccità. Non è solo la Natura ad essere responsabile del fallimento dei contadini: La banca o l'anonima, intende... vuole... ha bisogno...esige.* 
I latifondisti arrivarono sul posto, o più spesso i loro rappresentanti. Arrivarono in berlina, e saggiavano con le dita la terra povera, e qualche volta facevano eseguire dei sondaggi.*
Furore racconta la storia di un'America proletaria, sconfitta dai grandi meccanismi economici contro i quali questi contadini non possono battersi: È doloroso dicevano i rappresentanti, ma l'Anonima non è responsabile di questa situazione. Voialtri vi trovate su terreni che non vi appartengono. Fuori di qui, in un altro Stato, adesso che viene l'autunno potete mettervi a cogliere il cotone. Potete magari ottenere il sussidio. Perché non andate in California?* 
È una storia di emigrazione, cantata da Woody Guthrie o più recentemente da Bob Dylan e da Bruce Springsteen (The Ghost of Tom Joad), che assomiglia a tutte le altre storie di uomini e donne messisi in cammino alla ricerca di pane e lavoro.
Gli Okies di Steinbeck assomigliano come due gocce d'acqua a tutti gli emigrati di tutti i tempi, le pagine di questo libro sembrano parlare di un mondo quanto mai attuale e che noi conosciamo bene:
Ora gli emigrati sono trasformati in mendichi. Quella gente che aveva vissuto di stenti sui magri prodotti d'un pezzo di terra mediocre, adesso ha l'intero Occidente in cui spaziare. E lo rovistano da un capo all'altro, e le strade sono convertite in fiumane di gente, e gli argini dei corsi d'acqua sono presidiati da falangi di straccioni.*
E come sempre gli abitanti del posto non sono disposti ad accogliere quest'orda di miserabili, difendono la propria casa, il proprio benessere, la propria tranquillità: 
Ed ecco che nel West subentra il panico, ora che i nomadi vanno moltiplicandosi sulla strada. I proprietari sono terrorizzati. Individui che non avevano mai provato la fame, ora vedono questa fame per la prima volta negli occhi degli affamati. Individui che non avevano mai desiderato nulla con vero ardore, ora vedono per la prima volta la rossa fiammata del furore che l'indigenza accende in fondo agli occhi dei mendichi. Ed ecco i frolli cittadini, e i fiacchi abitatori dei sobborgh, organizzarsi a difesa, e dinnanzi all'imperioso bisogno di rassicurare se medesimi persuadersi di essere buoni e chiamare cattivi gli invasori; perché quando si decide a prendere le armi per ammazzare il prossimo, è buona regola che l'uomo pensi così.*
Senz'altro questa storia ci ricorda qualcosa.
*Traduzione di Carlo Coardi.

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