La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



sabato 29 aprile 2017

Spello, Umbria

In una fredda e luminosa giornata di fine aprile siamo a Spello la Splendidissima Colonia Julia, definizione che la tradizione attribuisce a Giulio Cesare.

La tramontana soffia sferzante e nella notte la neve ha imbiancato il monte Subasio. La gente che passeggia tra le bancarelle del mercato ha messo la giacca a vento.

Il vento non è molto gradevole ma ha il vantaggio di aver spazzato le ultime foschie, rendendo l'aria tersa e pura. Camminando lungo le stradine che si inerpicano verso la parte alta del borgo il panorama si allarga sui monti Martani e sui colli di Perugia.
Assisi, più a nord sulle pendici del Subasio, sembra vicinissima.



A Porta Venere troviamo un gatto tartarugato, nero e rosso, che ci fa da guida. Il monumento, di origine romana è in travertino bianco ed è affiancata da due torrioni in uno schema che ricorda la porta Palatina di Torino.



Le vie sono quasi deserte, incontriamo solo qualche persona che probabilmente torna dal mercato e qualche raro turista.
Passiamo davanti alla chiesa di San Lorenzo. La facciata sorprende per le sue forme.
I vari rifacimenti successivi sono restati visibili e sono stati integrati nella composizione finale apparentemente senza una logica ben precisa, scartando tutte le regole di simmetria. Il risultano è sorprendente ma anche molto originale.
Approfittiamo dell'arrivo di un nutrito gruppo di preti guidati da un cicerone, per entrare nell'edificio che normalmente è chiuso. Colpisce il baldacchino dell'altare maggiore, ssicuramente ispirato a quello del Bernini a San Pietro a Roma.

Continuiamo la nostra passeggiata tra le stradine del paese.
La collegiata di Santa Maria Maggiore ospita la cappella Baglioni, celebre per i suoi affreschi del Pinturicchio. Entriamo, accolti da una successione di cartelli che vietano perentoriamente le fotografie anche senza flash! 
Davanti alla cappella, chiusa da una vetrata, un custode batte cassa.
L'accoglienza sì sgradevole ci invita a fare dietro front.



Accanto è la chiesa dedicata a Sant'Andrea. All'interno, in un ambiente abbastanza sobrio, ammiriamo dei dipinti molto suggestivi tra i quali infine anche un'opera del Pinturicchio La Madonna in trono con Santi. 

sabato 22 aprile 2017

Orvieto, Umbria

Eccola Orvieto.
Nella valle del fiume Paglia il battello di tufo naviga sulla canopea dei boschi sottostanti. La facciata del duomo è come una vela aperta al vento e a tratti, il mosaico dorato brilla, ma è forse solo un sogno.
Dalle colline si scende verso la città bassa “Orvieto scalo”. È qui che tutta l”animazione dell'attivo commercio umano si concentra. Fabbriche, supermercati, distributori di benzina (innumerevoli), code ai semafori.
Ma basta lasciare il tracciato di autostrada, ferrovia, fiume e, risalendo verso la città antica, ci si ritrova tra le vie medievali e i palazzi di pietra.
 

Anche qui i quartieri sono animati, almeno le vie più passanti, ma non come in basso. Turisti che passeggiano con il naso per aria e che sembrano attirati verso un punto preciso, alla fine della salita.
Sì, perché, a parte il “pozzo di san Patrizio”, le enoteche che propongono i vini della regione, tra i quali il bianco che prende il nome dalla città, un solo monumento spinge i visitatori a risalire la rocca.
Lassù infine, prima a tratti, poi più precisa, appare la grande fabbrica del duomo.
Una struttura assai semplice, con il bianco e il nero della pietre che scandiscono le pareti uniformi e sembrano alleggerirla.


Ma davanti c'è la sorprendente e splendida facciata.
È proprio qui che gli artisti hanno concentrato lo sfoggio della loro maestria in un'opera unica.
In realtà anche sui fianchi delle nicchie d'angolo accolgono qualche scultura ma lo sguardo è prepotentemente attratto dalla ricchezza dell'iconografia della facciata.


Statue in marmo, bassorilievi, statue in bronzo, mosaici. Al centro un prezioso rosone ricamato con maestria e circondato da nicchie con altre statue di apoostoli e di profeti.



L'interno è anch'esso sottolineato dall'alternarsi di pietre bianche e nere. Ed anche il soffitto delle tre navate è lasciato con le travi apparenti. Come se si fosse voluto semplificare al massimo lo spazio architettonico per mettere in valore le orere che esso conserva. E le opere da ammirare sono veramente molte:
dalla Madonna di Gentile da Fabriano alla fonte battesimale, al trecentesco cancello in ferro battuto, dagli altari marmorei alla vetrata policroma di Giovanni di Bonino da Assisi.









Tra le numerose opere spiccano gli affreschi della Cappella Nova. Il Giudizio Universale di Luca Signorelli, la vela dei profeti e il Cristo giudice del Beato Angelico.
L'artista orvietano Ippolito Scalza, capomastro del duomo, è senz'altro meno conosciuto. È qui l'autore del magnifico organo monumentale e soprattutto della Pietà, scolpita nel 1579.
Un'opera che spicca per la sua forza espressiva. Maria piange mentre leva la mano sinistra in un gesto quasi di collera. Nicodemo, che ha aiutato Giuseppe d'Arimatea a deporre il corpo di Gesù dalla croce, aggrotta la fronte quasi perplesso di fronte all'accaduto.
Con una mano tiene il martello e la scala che ha usato per
schiodare il crocifisso mentre nell'altra ha i chiodi e la tenaglia, arnesi di una materialità concreta che contrastano con il dramma sovrumano che si è appena prodotto. Affranta dal dolore, più della madre del Cristo, è Maria Maddalena che cerca un'ultima carezza da una mano che sembra gonfia dal supplizio sopportato.
Con l'altra sua mano sorregge teneramente il piede del defunto; un dettaglio di un essenziale realismo.

sabato 1 aprile 2017

Arras, Francia del nord

Arras, nel dipartimento francese del Passo di Calais, nel nord della Francia. In passato famosa per le sue tappezzerie, tanto d'aver ispirato alla lingua italiana la parola arazzo. È una delle città della Francia con il più alto numero di edifici classificati come monumenti storici. La prima guerra mondiale provocò moltissimi danni ma il centro della città fu ricostriuito identico a quello quasi interamente distrutto.
La città è relativamente piccola, con i suoi quarantamila abitanti è la terza del dipartimento dopo Calais et Boulogne, ma è certamente la più attraente e piacevole.
L'antica capitale dell'Artois si distingue per le case e i palazzi del centro, tutti in pietra e mattoni rossi. Inconfondibile è lo stile barocco delle due piazze principali, la Grand Place e la Place aux Héros che, con le altre vie del centro, formano un notevole insieme architettonico. La sfilata di facciate è quasi militare, l'allineamento dei portici e delle finestre, l'assenza di sporgenze, i pignoni alla fiamminga sono come bicorni di soldati da passare in rivista.
Fu un editto del 1583 di Filippo II di Spagna, quando la regione faceva parte dei Paesi Bassi spagnoli, a decretare l'obbligo di costruire in pietra o mattoni per evitare gli incendi. Un editto che si è trasmesso nel tempo e che è stato sempre rispettato.
Le belle piazze e larghe vie animate si alternano ad angoli più raccolti, stradine selciate e case più modeste. Arras si mostra come una tranquilla città borghese, forse un po' lontana dalla foga rivoluzionaria e infine troppo mortifera di Massimiliano Robespierre che qui nacque.